nell’ambito del progetto “Un anno per la libertà di scrittura”
Il lavoro performativo vuole indagare come un gesto si propaghi nel tempo, e quindi nello spazio, trasmettendosi da una persona all’altra, addensando e stratificando significati, in una sorta di telefono senza fili della storia. La performance si prefigge di esplorare come il concetto di Immortalità si declini tutti i giorni nelle nostre vite senza che ne abbiamo una consapevolezza specifica: che noi lo vogliamo o no, ogni azione, ogni scelta, ogni gesto che facciamo è il tentativo di consegnare nelle mani del tempo una traccia di noi stessi, un impronta. Ma qual è la prima immagine che d’istinto visualizziamo per dare un volto all’immortalità? E quanto questa immagine ha a che fare con il nostro concetto di tempo, così limitato allo scorrere degli eventi durante la nostra permanenza qui e ora? All’interno del romanzo di Kundera l’immortalità è scandita dai gesti, gesti che permangono al di là della persona che li compie, grandi o piccoli gesti, che sono più individuali degli individui…
Nella prima parte si racconta, nel rapporto col pubblico, quali sono i presupposti stessi della performance, si forniscono gli strumenti per potersi orientare nel discorso attraverso l’ascolto di una musica che diventa pretesto all’azione, circoscrivendone la durata; nella seconda parte, tramite la complicità inconsapevole del pubblico, si andrà a costruire una biografia collettiva dei gesti, trasmessi in maniera involontaria dagli spettatori (o rubati!), che comporranno una coreografia ogni volta diversa e irripetibile, data dall’unicità delle persone presenti in sala; al fine di costruire un arco narrativo alla cui composizione tutti, potenzialmente, potrebbero contribuire e che sopravviva oltre il tempo che al performer è dato sulla scena.