Quando ho cominciato Open di André Agassi mai e poi mai avrei pensato che la biografia di un campione di tennis – sport che, in tutta sincerità ho sempre trovato noioso – avrebbe potuto appassionarmi… Nulla di più errato! Sono rimasto folgorato. Appena ho finito di leggerlo ho desiderato portare questa storia sul palco, e così eccoci qui: un leggio, una storia favolosa, e un chitarrista eccezionale come Massimo Betti. Nel corso degli anni ho imparato che il teatro, perché possa accadere e riguardarci, ha bisogno di Storie Grandi che possano contenere e comprendere tutte le nostre “piccole storie”. Le Storie Grandi sono vicende in cui ci si può rispecchiare e con le quali ci si può confrontare. Sono paradigmi, riferimenti, esempi: raccontano l’uomo, l’umanità. Il teatro ne è pieno: Shakespeare, Euripide, Aristofane… La storia di Andre Agassi è senza dubbio una di queste. Agassi non è un tennista qualunque. È il numero 1 al mondo ma… Agassi odia il tennis! Ecco il conflitto! Ecco il dato universale, ecco il paradigma! Attraverso questo incredibile, quasi paradossale, conflitto interiore, Open racconta la storia, non solo di un talento eccezionale ma, anche, quella di un uomo che, mentre diventa uno dei migliori tennisti di tutti i tempi, cerca di rispondere alla domanda madre di tutte le domande: “Chi sono io? Chi è l’uomo André Agassi?”. Ed ecco che quella domanda possiamo farcela anche noi, ci possiamo rispecchiare in quell’interrogativo e la sua vicenda diventa nostra, di tutti, in una parola: epica. Un celebre passaggio di Salinger nel Giovane Holden recita così: “I libri che mi piacciono di più sono quelli che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Niente di più vero dopo aver letto Open!
Mattia Fabris
nell’ambito del progetto “Un anno per la libertà di scrittura”