Un castello. Un corso d’acqua. Una sera d’estate. È l’inizio di un possibile racconto, in cui si impigliano voci antiche e nuove, e le immagini di un mito senza tempo. Un mito che si chiama Narciso, che nei secoli ha ispirato pittori, poeti, scrittori, musicisti, psicologi e psicoanalisti, antropologi e studiosi di scienze sociali.
Narciso nasce bellissimo dalla divinità fluviale Cefiso e dalla ninfa Liriope. L’indovino Tiresia gli predice lunga vita ed eterna bellezza, a condizione che il giovinetto non veda mai il proprio volto. Resta così un adolescente splendido e selvaggio che sdegna l’amore, ama cacciare e cavalcare da solo nelle foreste. La più bella delle ninfe, Eco, si innamora perdutamente di lui. Incomincia a seguirlo da lontano ma invano. Poco a poco si strugge fino a svanire e ridursi al suono della propria voce che lo chiama invano dalle pareti della caverna dove si è ritirata. Gli dei intervengono per punire tanta ingratitudine. Narciso vede per la prima volta riflessa nell’acqua limpida l’immagine del proprio viso. Si innamora perdutamente di quel bellissimo giovinetto. Torna di continuo al ruscello per rivederlo. Tende la mano per toccarlo, ma ogni volta la superficie dell’acqua s’increspa e l’immagine svanisce. Finché un giorno si sporge, perde l’equilibrio e cade nelle acque che si richiudono sopra di lui. Il suo corpo è trasformato in un fiore giallo e profumato che porterà per sempre il suo nome.
L’attrice Sonia Bergamasco e il pianista Emanuele Arciuli dialogano in questa cornice sognante di acque, pietre, piante. E a partire dalla versione leggendaria del mito di Narciso – quella di Ovidio – propongono una sequenza di variazioni poetiche e musicali sul tema: da Shakespeare a Morton Feldman, da Oscar Wilde a Philip Glass, da Sylvia Plath a Caravaggio. Per ripercorrere insieme i contorni di una storia che ci riguarda e in cui ci specchiamo, costantemente.