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SEMBRE MA NON SOFFRO

2° episodio della trilogia dell’inesistente_esercizi di condizione umana

L’estraneità e l’attesa di Sembra ma non soffro non rappresentano antidoti al dolore, sono semmai una degenerazione della sofferenza, tanto che nulla sembrerebbe legare le due figure in scena – poste su due bianchi inginocchiatoi – al tema che le ha scaturite.
Nello spazio tra le parole c’è altro. Il solito pensiero indicibile o forse qualcosa di più. Come figure incasellate nella striscia di un fumetto aspirano a un altrove e si dibattono come sbavature di un disegno nel recinto angusto della vignetta.

Un dialogo sussurrato, grottesco, surreale e allo stesso tempo realissimo; un’indagine equilibrata e razionale attorno ai dogmi della religione; un teatro dell’oscillazione e della sproporzione tra temi universali e piccole occorrenze della vita quotidiana. In una sorta di pubblica confessione i due attori su degli inginocchiatoi bianchi si raccontano intimamente, svelando a ruota libera pensieri ed emozioni e dimostrando come, per scardinare i luoghi comuni del comune pensare bisogna destrutturare il linguaggio e i suoi nessi logici

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