Ideato il 9 febbraio 2020 e cresciuto durante il blocco dovuto all’emergenza Covid-19, Care Selve – spettacolo di danza, teatro e musica – vuole essere un invito alla riscoperta della spiritualità della natura. Il titolo, ripresa di un topos letterario e del testo di un’aria di Georg Friedrich Händel, introduce a una prospettiva ecologista il cui fulcro è la gratitudine e il rispetto del creato, uno stato di piacere in cui sentirci amati e ritrovare il senso dell’appartenenza. Il repertorio musicale scelto propone brani barocchi e classici per voce solista, ove la natura è anticipatrice di questo amore, per accompagnare un viaggio senza tempo: il riconoscimento di due esseri umani che alle selve chiedono conforto e che grazie a questo scoprono una possibilità comune. Nello spettacolo, movimento-canto-suono-parola testimoniano, infatti, il desiderio di comunione con la natura, un rapporto misterioso ed empatico (sentito in modo immediato dai bambini) che oggi è necessario riscoprire grazie a uno sguardo nuovo capace di illuminare la speranza nelle nuove generazioni. Una fiducia che passa anche attraverso la riscoperta della memoria, che qui vive nel possibile incontro tra la tradizione musicale occidentale e la tradizione del gesto contemporaneo, per rinnovare l’interesse, umano e artistico, alla fluidità come integrazione, al respiro come lode, al sorriso e alla leggerezza come promessa. La danza, sostenuta dal canto e dal suono dell’arpa anche secondo dinamiche di improvvisazione, si fa espressione del desiderio di questa comunicazione profonda, permettendoci di partecipare a una liturgia che sono le piante stesse ad insegnarci. Infine, i brevi testi dello spettacolo esplicitano, mediante la reinvenzione di citazioni tratte dalla letteratura religiosa e dal Paradiso di Dante Alighieri, il bisogno di riconoscere l’interdipendenza con la natura e con l’altro da sé.
Il progetto si declina anche in una proposta concepita per spazi esterni dal titolo Care Selve. Florilegio.
Il mondo altrove: una storia notturna è una creazione coreografica in forma di rituale danzato, che celebra secondo una logica scenica il moto di un mondo inesplorato. Nel tracciare un percorso ideale tra Occidente e Oriente, il lavoro è liberamente ispirato ai rituali indigeni dell’America del Sud, ai simboli e alle tradizioni del teatro Nō giapponese, e all’ossessiva, per certi versi mistica ed eccentrica ricerca musicale del compositore Giacinto Scelsi intorno all’idea sferica del suono. La creazione presenta una figura sciamanica finemente adornata per condurre una cerimonia magica e senza tempo. Il suo movimento e i lineamenti del suo volto – velato e riconfigurato secondo canoni estranei alla cultura occidentale – custodiscono e offrono al nostro sguardo il rituale di una possibile tradizione altra, agito all’interno di un confine circolare che delimita uno spazio ancora attribuibile al sacro e che raccoglie l’esito di una convivenza armonica tra habitat naturale e azione umana. L’azione è pensata al crepuscolo, abbracciata dalle cromie lucenti dell’oro, del ciano e del porpora, per sciogliersi in un dialogo gestuale notturno, espressione di sostegno vicendevole, dono perpetuo, comunione universale e celeste. Di fronte a questo linguaggio fisico siamo invitati a decifrare i “geroglifici” di questa figura ignota, selvatica e capovolta; siamo ospiti chiamati a un esercizio di superamento del confine di ciò che conosciamo, scoprendoci stranieri tra gli stranieri. Accogliere un mondo nuovo e aprirci a un sistema ignoto significa entrare in contatto, senza gerarchie precostituite, con la poesia di segni muti e opachi, sia che appartengano al mondo animale, al mondo vegetale o a una qualsiasi cultura alternativa. Accettando la messa in discussione di qualcosa di sé e ritrovando la propria umanità nel riflesso dell’incontro.