Shtetl significa semplicemente villaggio, eppure nel momento stesso in cui questa parola viene pronunciata, scatena in ognuno di noi il ricordo di quella realtà secolare che in pochi anni fu spazzata via dalla ferocia del nazismo. Lo shtetl ha i colori di Marc Chagall e il bianco e nero di Kacyzne o Vishniac, che congelarono nei fotogrammi, centinaia di scatti di vita ebraica nell’est Europa, in particolare in Polonia; lo shtetl ha i suoni dei racconti di Isaac Singer e di Shalom Aleichem o della musica klezmer, dall’ebraico kley e zemer, gli strumenti del canto. Shtetl, con i Mishkalé, racconta di radici e strappi, di viaggi ed esili, in un alternarsi di racconti, musica e canto, in un universo di emozioni.
di e con Fausto Paravidino