Una giovane donna è afflitta ormai da molti anni da vertigini. Si ritrova a perdere l’equilibrio, cade improvvisamente a terra, poi prova un forte senso di nausea e di smarrimento. Non ci sono cause fisiologiche, ma qualcosa di più sommerso. Nel corso di diversi incontri con la sua psicologa, cercando di individuare un asse d’equilibrio entro il quale arginare lo smarrimento e lo stato d’ansia, ripercorre angoli dell’infanzia e dell’adolescenza, in cerca di eventi del passato che possano fare luce sul suo presente. Il percorso determina sensazioni distopiche, e scava nel rapporto alterato con sé e con la realtà circostante. Vittima del sistema famiglia e della società perbenista, subisce i pregiudizi e le imposizioni di chi intende sistemare le “devianze” del suo corpo “non perfetto” in una definizione di genere, scatenando disagio e vertigini. Pezzi di un corpo “originario” tagliati via. Pezzi di un corpo “altro” dove non ci si riconosce. Una dimensione claustrofobico. Residui di un sé più intimo con cui tentare una riconciliazione. Senza l’obbligo di una sola identità.